15/04/18

Ave Maria (Franz Biebl)

Miserere mei - (Gregorio Allegri)

 
 
 
 
 
 
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Miserere (Allegri)

Gregorio Allegri


Il Miserere (latino: "Abbi pietà") è un'opera a cappella di Gregorio Allegri basata sul salmo 50[1] della Bibbia, composto probabilmente intorno al 1630 durante il pontificato di Urbano VIII, da eseguire a luci spente nella Cappella Sistina durante il mattutino come parte dell'ufficio delle tenebre della Settimana Santa.
È l'ultimo dei dodici miserere composti e cantati in Sistina dal 1514 ed è anche il più famoso. Di questo brano non si comprende l'effetto alla sola lettura per via della grande semplicità delle note, ma esisteva nella Cappella Sistina un'antica tradizione esecutiva che ne faceva risaltare i meriti, dandogli una sfumatura espressiva unica.
Il brano era considerato così sacro che il papa, per preservarne l'unicità, proibì che fosse trascritto e proibì che le eventuali copie uscissero dalla Cappella Sistina, tanto che l'esecuzione altrove era punita con la scomunica.[2]

Storia

Il miserere di Allegri è una composizione a nove voci per due cori, uno di cinque voci e uno di quattro, ed è generalmente riconosciuto come uno dei migliori esempi di polifonia rinascimentale. Tre copie autorizzate vennero distribuite fuori dalla Cappella Sistina prima del 1770: una a Leopoldo I d'Asburgo, una al re del Portogallo e una a Giovanni Battista Martini. Nessuno di loro, tuttavia, riuscì a riprodurre la bellezza del miserere così come veniva cantato nella Sistina. Il quattordicenne Wolfgang Amadeus Mozart, in visita a Roma, ascoltò il miserere di Allegri l'11 aprile 1770 durante l'ufficio delle tenebre del Giovedì Santo, che si canta la sera del Mercoledì Santo.[3] Il Giovedì Santo lo trascrisse interamente a memoria, ritornando nella Cappella Sistina il venerdì successivo, 13 aprile, per fare piccole correzioni.[4]
Leopold Mozart, padre di Wolfgang, in una lettera ad Anna Maria Pertl del 14 aprile 1770 comunicò che:
« A Roma si sente spesso parlare del famoso Miserere, tenuto in tanta considerazione che ai musicisti della cappella è stato proibito, sotto minaccia di scomunica, di portarne fuori anche una sola parte, copiarlo o darlo a chicchessia. Noi però l'abbiamo già, Wolfgang l'ha trascritto a memoria, e, se non fosse necessaria la nostra presenza al momento dell'esecuzione, noi l'avremmo già inviato a Salisburgo. Infatti la maniera di eseguirla conta più della composizione stessa, e quindi provvederemo noi stessi a portarla a casa.[5] »
Quando la Pertl rispose preoccupata, Leopold precisò in una lettera del 19 maggio successivo:
« Non c'è la minima ragione di essere in ansia [...] Tutta Roma e persino il Papa stesso sa che l'ha trascritto. Non c'è assolutamente niente da temere, al contrario, l'impresa gli ha fruttato un grande credito.[5] »
Dopo la trascrizione di Mozart, la minaccia della scomunica venne tolta. Tempo dopo, Mozart incontrò il compositore inglese Charles Burney, il quale si fece dare la copia, la confrontò con la trascrizione che il papa aveva concesso a Giovanni Battista Martini e la portò a Londra, dove venne pubblicata nel 1771. L'edizione di Burney, tuttavia, non includeva la particolare ornamentazione rinascimentale non scritta, ma semplicemente tramandata da interprete a interprete nella Cappella Sistina, che rendeva il brano tanto lodato. Nel 1840 il sacerdote romano Pietro Alfieri pubblicò un'edizione del miserere di Allegri con l'intento di preservare la prassi esecutiva della Cappella Sistina, edizione che comprendeva anche l'ornamentazione.
L'accuratezza nelle esecuzioni, che esisteva un tempo nella Sistina, era un requisito indispensabile per la perfetta riuscita del miserere: Leopoldo I d'Asburgo, infatti, ne chiese al papa Innocenzo XI una copia da utilizzare nella sua cappella imperiale. La richiesta gli fu accordata. Tuttavia, le esecuzioni viennesi non risultarono altro che un corale poco entusiasmante. L'imperatore credette allora che il maestro di cappella della Sistina gli avesse inviato la copia di un altro miserere, se ne lamentò con il papa e lo fece cacciare. Il papa stesso fu così offeso da quello che credeva essere stato un inganno del suo maestro che, per molto tempo, non volle vederlo né ascoltare ciò che avrebbe voluto dire in sua discolpa. Alla fine, però, il maestro di cappella ottenne che uno dei cardinali perorasse la sua causa, facendo sapere al pontefice che la perfetta riuscita del miserere poteva essere realizzata solo grazie alla grande competenza canora della Cappella Sistina. Ciò spiegava perché il pezzo in questione, anche se fedelmente trascritto, non poteva produrre lo stesso effetto se eseguito altrove.[6]
Innocenzo XI, che non si intendeva di musica, benché non riuscisse a capire come le stesse note potessero sembrare così diverse se eseguite in luoghi diversi, scrisse una difesa che venne inviata a Leopoldo I. Quest'ultimo pregò allora il papa di mandare a Vienna qualcuno dei cantori della Sistina affinché istruissero quelli della cappella imperiale sul modo di eseguire il miserere. Il pontefice accordò il favore, ma, prima che i musicisti arrivassero a Vienna, nel 1683 scoppiò la guerra contro i turchi e l'imperatore dovette lasciare la città. Il miserere, perciò, non venne mai eseguito fuori Roma.[7]
Il miserere di Allegri venne eseguito nella Cappella Sistina, pressoché senza interruzioni, fino al 1870.[8] Sospesa per 141 anni, la composizione è stata nuovamente eseguita, per la prima volta, il 9 marzo 2011, alla presenza del papa Benedetto XVI, nella basilica di Santa Sabina in Roma durante la celebrazione del Mercoledì delle Ceneri.[9]

Testo

« Miserere mei, Deus: secundum magnam misericordiam tuam.
Et secundum multitudinem miserationum tuarum, dele iniquitatem meam.
Amplius lava me ab iniquitate mea: et a peccato meo munda me.
Quoniam iniquitatem meam ego cognosco: et peccatum meum contra me est semper.
Tibi soli peccavi, et malum coram te feci: ut iustificeris in sermonibus tuis, et vincas cum iudicaris.
Ecce enim in iniquitatibus conceptus sum: et in peccatis concepit me mater mea.
Ecce enim veritatem dilexisti: incerta et occulta sapientiae tuae manifestasti mihi.
Asperges me, hyssopo, et mundabor: lavabis me, et super nivem dealbabor.
Auditui meo dabis gaudium et laetitiam: et exsultabunt ossa humiliata.
Averte faciem tuam a peccatis meis: et omnes iniquitates meas dele.
Cor mundum crea in me, Deus: et spiritum rectum innova in visceribus meis.
Ne proiicias me a facie tua: et spiritum sanctum tuum ne auferas a me.
Redde mihi laetitiam salutaris tui: et spiritu principali confirma me.
Docebo iniquos vias tuas: et impii ad te convertentur.
Libera me de sanguinibus, Deus, Deus salutis meae: et exsultabit lingua mea iustitiam tuam.
Domine, labia mea aperies: et os meum annuntiabit laudem tuam.
Quoniam si voluisses sacrificium, dedissem utique: holocaustis non delectaberis.
Sacrificium Deo spiritus contribulatus: cor contritum, et humiliatum, Deus, non despicies.
Benigne fac, Domine, in bona voluntate tua Sion: ut aedificentur muri Ierusalem.
Tunc acceptabis sacrificium iustitiae, oblationes, et holocausta: tunc imponent super altare tuum vitulos. »

Gli altri miserere della Cappella Sistina

Secondo l'abate Giuseppe Baini,[10] quello di Gregorio Allegri era solo l'ultimo dei dodici miserere composti per essere eseguiti nella Cappella Sistina. Due volumi manoscritti dell'archivio della cappella racchiudevano tutti i miserere cantati in Sistina dai tempi più remoti a eccezione del primo, composto nel 1514 sotto il pontificato di Leone X, che fu giudicato non abbastanza bello per poter entrare nella raccolta.
Nel 1517 Costanzo Festa, che era appena stato accolto come cantore nella Sistina, scrisse due versetti di un miserere, uno a quattro voci e l'altro a cinque, ed è questo il primo che si trova nella raccolta. Il secondo è di Luigi Dentice, composto a quattro e cinque voci. Il terzo, di cui non si hanno che due versetti a quattro voci, è di Francisco Guerrero. Il quarto miserere è di Giovanni Pierluigi da Palestrina, composto da due versetti a quattro e cinque voci.
Il quinto è di Teofilo Gargano, che entrò nel collegio dei cantori della Sistina il 1º maggio 1601. Il sesto miserere è di Giovanni Francesco Anerio. Felice Anerio, invece, è l'autore del settimo, comprendente un versetto a nove voci. L'ottavo miserere, molto inferiore ai precedenti, è di autore sconosciuto. Il nono è composto dai già citati due versetti di Palestrina, con l'aggiunta di altri due versetti a nove voci di Giovanni Maria Nanino. Il decimo, a quattro voci, con un ultimo versetto a otto voci, è di Santo Naldini, entrato in Sistina il 23 novembre 1617. L'undicesimo, a quattro voci e con l'ultimo versetto a otto, è di Ruggero Giovannelli, aggregato il 17 aprile 1599.
Il dodicesimo, alternativamente a quattro e cinque voci e con l'ultimo versetto a nove, è quello di Gregorio Allegri. L'uso di scrivere un miserere per la Cappella Sistina poi cessò, in quanto quello di Allegri fu trovato così bello che non si credette possibile poter fare di meglio. Nondimeno egli lo corresse a più riprese e cambiò più volte l'ordine delle parti al fine di ottenere un effetto migliore. Fu in seguito rivisto e perfezionato da diversi cantanti e compositori che vi aggiunsero tutto ciò che credevano più adatto a rendere l'esecuzione soddisfacente.
Il miserere di Allegri si cantava nelle mattutini del Giovedì Santo e del Sabato Santo. Il Venerdì Santo c'era l'uso di cantare tanto il miserere di Felice Anerio quanto quello di Naldini. Nel 1680 Alessandro Scarlatti scrisse un nuovo miserere per il servizio della Cappella Sistina, ma la sua composizione fu giudicata deludente. Venne però eseguito lo stesso per rispetto alla reputazione del suo autore e venne cantato il Venerdì Santo del 1680 insieme a quelli di Anerio e di Naldini. Nel 1714 Tommaso Bai compose un nuovo miserere a quattro e cinque voci, con l'ultimo versetto a otto sul modello di quello di Allegri, e questa composizione venne ritenuta tanto bella che da allora si cessò di cantare i miserere di Anerio e di Scarlatti per eseguire solo, dal 1714 al 1767, quelli di Allegri e di Bai.
Nel 1768 Giuseppe Tartini fece dono alla Cappella Sistina di un miserere di sua composizione a quattro e cinque voci e con l'ultimo versetto a otto. Fu eseguito quello stesso anno, ma non poté reggere il confronto con quelli di Bai e di Allegri e venne perciò accantonato. Nel 1777 Pasquale Pisari, su richiesta dei cantori della Sistina, compose un nuovo miserere. Anche questo, però, venne eseguito solo una volta, nel 1777, e poi dimenticato. Dal 1778 al 1820, dunque, i miserere di Bai e di Allegri furono gli unici due a essere eseguiti in Sistina. Nel 1821, dietro esplicita richiesta di Pio VII, l'abate Giuseppe Baini compose un nuovo miserere, il quale fu giudicato degno di essere eseguito insieme a quelli di Bai e Allegri.

02/04/18

Moto perpetuo (Niccolò Paganini)

 

Paganini ai suoi tempi era considerato "posseduto" perchè era talmente bravo tecnicamente che si pensava fosse opera del diavolo. Basta ascoltare il MOTO PERPETUO per rendersi conto della difficoltà nell'eseguire i suoi brani.

 Jozsef Lendvay (nato nel 1974) è un violinista ungherese . [1]
Nato a Budapest , in Ungheria , József Lendvay Jr ( figlio del famoso violinista gitano József "Csócsi" Lendvay ) ha frequentato il Béla Bartók Conservatory di Budapest, dove ha studiato con Miklos Szenthelyi e successivamente con l' Accademia di musica Franz Liszt di Budapest. [2] Le sue registrazioni includono opere di Sarasate e Brahms 'Hungarian Dances con Iván Fischer. Lendvay ha vinto il primo premio al Concorso internazionale di violino di Colonia, il Ferenc Liszt Heritage Award presentato dal Ministero della cultura nazionale ungherese e il concorso internazionale di violino Tibor Varga, tra gli altri. Nel 2002 gli è stata conferita la Croce d'oro per i suoi contributi musicali dal presidente della Repubblica ungherese.

Quando men vo - Bohème (Giacomo Puccini)


Quando men vo



Quando men vo è una romanza in tempo di valzer lento della Bohème di Giacomo Puccini, cantata nel secondo quadro da Musetta (soprano).
Musetta la canta con civetteria, seduta ad uno dei tavoli del Caffè Momus, rivolgendosi intenzionalmente al pittore Marcello, allo scopo di riconquistarlo. Nella parte iniziale la ragazza descrive l'effetto del proprio fascino sugli uomini e negli ultimi versi parla direttamente all'ex fidanzato.

Genesi e caratteristiche musicali

Il brano nacque come Piccolo Valzer per pianoforte in Mi maggiore, composto all'inizio di settembre del 1894 e destinato alla cerimonia di consegna della bandiera di combattimento per la nave da guerra "Re Umberto", che ebbe luogo a Sestri Ponente quello stesso mese.[1]
Secondo Mosco Carner, «Puccini ne ebbe l'idea un giorno ch'era a caccia sul suo amato Lago di Massaciuccoli, nella barca dolcemente cullata dalle onde.»[2]
Nel frattempo egli stava lavorando alla Bohème e, intenzionato ad adattare il motivo al valzer di Musetta, inviò come traccia al librettista Giuseppe Giacosa il verso "Coccoricò, coccoricò bistecca", dal cui ritmo nacque l'incipit "Quando men vo, quando men vo soletta"[2].
Se il metodo di inviare versi maccheronici ai librettisti come traccia metrica rientra nelle consuetudini pucciniane, può sorprendere l'abbinamento tra la musica, languida e seducente, e la cerimonia militare alla quale fu destinata la sua versione pianistica; a meno di non leggere la scelta del compositore come una presa di distanza, garbatamente ironica, rispetto ad una dimensione culturale che non gli apparteneva.
Nell'opera il brano conservò la tonalità di Mi maggiore e si arricchì di nuove sfumature agogiche, con ben 25 variazioni di movimento in 47 battute. Tale duttilità accresce il tono sensuale di una melodia il cui incipit è già caratterizzato in questa direzione dal movimento cromatico discendente e dall'insolito abbinamento tra una prima semifrase («quando men vo») a valori lunghissimi e una seconda a valori brevi («quando men vo soletta per la via»).
La struttura è quella ternaria A-B-A' tipica del valzer, con la sezione centrale («Così l'effluvio del desio») nella regione della sottodominante La maggiore. La ripresa («E tu che sai») differisce nelle battute finali, che Puccini modificò nel corso delle revisioni dell'opera e che portano la voce del soprano fino al Si acuto.
L'orchestrazione cameristica prevede nella sezione A (inclusa la ripresa) l'uso della sordina agli archi e, solo nelle battute iniziali, dei suoni armonici dell'arpa, già impiegati come introduzione della romanza. Il caratteristico controcanto di semicrome, che si affaccia anche nella sezione centrale, è affidato ai legni.
Il primo soprano a cantarla è stata Camilla Pasini nel 1896. Altri grandi soprani a cantarla sono stati Elisabeth Schumann, Elisabeth Söderström, Renata Scotto, Ainhoa Arteta ed Irina Lungu.

Aspetti drammaturgici

La presenza dei pertichini di Marcello, Alcindoro e Mimì, a partire dalla sezione centrale, svolge la funzione essenziale di creare un collegamento tra la dimensione lirica del brano e il realismo dell'azione. La situazione si muove per il resto sul filo dell'ambiguità drammaturgica, in quanto il carattere del brano - a partire dal tempo di valzer - sembrerebbe suggerire che si tratti di musica di scena, ossia che Musetta si stia esibendo in pubblico come cantante, ciò che risulterebbe per altro poco verosimile nel contesto dell'azione.
La seduzione di Musetta ha successo, anche se non immediatamente. A vincere le ultime resistenze di Marcello è, di lì a poco, il suo gesto di scoprire la caviglia con un pretesto e il ricongiungimento degli amanti avviene al termine della vigorosa ripresa orchestrale della sezione A del valzer, dalle parole di Marcello «Gioventù mia», coronata da un abbraccio sull'ultima esposizione del tema affidato a trombe e tromboni a tutta forza.
Puccini riprende un'ultima volta l'incipit della romanza poco dopo l'inizio del quadro III, allorché Musetta, da dietro la scena, intrattiene gli avventori della taverna, prima come semplice vocalizzo, poi alle parole «Se nel bicchiere sta il piacer, in giovin bocca sta l'amor!»

I versi

I versi del libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, basati su una libera successione di endecasillabi e settenari, presentano alcune differenze rispetto a quelli dello spartito di Puccini:

Libretto[3]
(civettuola, volgendosi con intenzione a Marcello, il quale comincia ad agitarsi)
Quando men vo soletta per la via
la gente sosta e mira,
e la bellezza mia - ricerca in me
tutta da capo a piè.
Ed assaporo allor la bramosia
sottil che dai vogliosi occhi traspira
e dai vezzi palesi intender sa
alle occulte beltà.
Così l'effluvio del desìo tutta m'aggira
e delirar mi fa.
E tu che sai, che memori e ti struggi
com'io d'amor, da me tanto rifuggi?
So ben: le angosce tue non le vuoi dir
ma ti senti morir!
Spartito[4]
(sempre seduta, dirigendosi intenzionalmente a Marcello, il quale comincia ad agitarsi)
Quando men vo, quando men vo soletta per la via
la gente sosta e mira,
e la bellezza mia tutta ricerca in me,
ricerca in me da capo a piè.
Ed assaporo allor la bramosia
sottil che dagli occhi traspira
e dai palesi vezzi intender sa
alle occulte beltà.
Così l'effluvio del desìo tutta m'aggira
felice mi fa!
E tu che sai, che memori e ti struggi,
da me tanto rifuggi?
So ben: le angosce tue non le vuoi dir,
non le vuoi dir, so ben, ma ti senti morir!
Si noti in particolare come il compositore sfrondò il testo da passaggi enfatici («vogliosi») o ridondanti («com'io d'amor») e soprattutto convertì il verso «e delirar mi fa» nel più semplice e sincero «felice mi fa».