31/08/17

La famosa banda musicale dell'Arma dei Carabinieri di Roma




La Banda Musicale dell'Arma dei Carabinieri è nota in ogni parte del mondo per la varietà del suo repertorio, per la perfezione formale delle sue esecuzioni e per il fascino che suscitano i suoi orchestrali, con le loro splendide uniformi, la magnifica compostezza, la profonda vocazione musicale. E la partecipazione del pubblico ai concerti della Banda dell'Arma rimane uno dei tanti aspetti di quella naturale simpatia che spinge il cittadino verso i Carabinieri.


In Piemonte, in seguito al nuovo ordinamento dato all'Esercito da Carlo Alberto nel 1831, vennero stabiliti nel numero di 18 i musicanti per ogni reggimento di linea e di 24 per la "Compagnia Guardie del Corpo di S.M.". Con successive determinazioni regie furono regolamentate tutte le questioni inerenti al servizio delle "musiche militari", che raggiunsero così una forma d'organizzazione vasta e completa. Fu in quegli anni che il Corpo dei Carabinieri ebbe i suoi primi trombettieri, nucleo originario di musicanti che via via, con successivi riordinamenti nell'organico e nella dotazione degli strumenti, diede vita dapprima (nel 1862) alla "Fanfara" e poi alla "Musica". Da questa derivò, infine, la "Banda" che, attraverso affinamenti successivi, ha assunto la fisionomia attuale.

I "trombettieri" del Corpo dei Carabinieri
I progetti di costituzione del Corpo dei Carabinieri comprendevano nelle tabelle organiche anche 8 "trombetti", ma solamente l'"Istruzione provvisoria elementare per i carabinieri", approntata e resa esecutiva con ordine del giorno 1° ottobre 1820 dal colonnello Comandante del Corpo, Alessandro di Saluzzo di Menusiglio, trattò espressamente, per la prima volta, dell'impiego dei trombettieri.
Ai capitoli "formazione d'una divisione dell'Arma a piedi" e "formazione d'una divisione dell'Arma a cavallo" e nei relativi disegni allegati, furono infatti precisate le posizioni occupate dal "brigadiere trombetta" e dai "trombetti", "nell'ordine di battaglia, nella parata o revista e nell'ordine di colonna per sfilare in parata".

Che il Corpo comprendesse nei suoi organici i trombettieri, è confermato anche dal Lang ("Dalle Guardie del Corpo allo Squadrone Carabinieri Guardie del Re"), il quale riferisce che nell'aprile del 1842, in occasione del torneo tenutosi a Torino per solennizzare le nozze dei duca Vittorio Emanuele di Savoia con Maria Adelaide di Lorena, venne costituito, per la scorta d'onore, uno speciale Squadrone di carabinieri a cavallo provvisto di trombettieri. Essi indossavano, tra l'altro, un elmo "con la ciniglia rossa".
Sei trombettieri, come riferisce il colonnello Ulderico Barengo ("I Carabinieri Reali negli anni 1848-1849"), erano pure compresi nei 248 "uomini di bassa forza" facenti parte dei tre Squadroni carabinieri che furono protagonisti, il 30 aprile 1848, dell'epica carica di Pastrengo.

Il servizio di trombettieri nel Corpo dei Carabinieri Reali fu, poi, sanzionato ufficialmente il 22 febbraio 1850, con dispaccio numero 2740-41 del Ministero di Guerra e Marina.Le prime fanfare
Nel decennio successivo al 1850, l'impiego dei trombettieri fu sempre più generalizzato, per cui il Comitato del Corpo (corrispondente all'attuale Comando Generale) venne indotto ad aumentarne il numero ed a migliorarne l'organizzazione.
Nacquero così le Fanfare della XIV e della VII Legione corrispondenti alla Scuola Allievi di Torino ed alla Legione di Napoli. Presso le altre Legioni furono costituiti nuclei trombettieri.
L'atto istitutivo delle formazioni musicali può essere identificato nel Regio Decreto 18 giugno 1862 relativo all' "aumento di forza al Corpo dei Carabinieri Reali" il quale riconosceva necessario "...aumentare la forza degli Stati Maggiori di tutte le Legioni onde ... impiegare alcuni uomini al servizio di trombettiere".

Al decreto fece seguito la circolare dei Comitato n. 25 10 dei 30 luglio 1862, con cui vennero impartite disposizioni relative all'applicazione dei decreto stesso ed in particolare furono stabilite le caratteristiche della divisa dei carabinieri musicanti.
Nell'agosto 1862 la Fanfara della XIV Legione fu affidata alla direzione del brigadiere trombettiere Francesco Cabella, promosso maresciallo d'alloggio nel settembre successivo.
Ulteriori notizie relative ai carabinieri musicanti risalgono al 1877, data di pubblicazione della "Istruzione sulla divisa della truppa dell'Arma dei Carabinieri Reali". Nella Istruzione vennero, fra l'altro, precisati tutti gli elementi distintivi, sia per il "vestito di grande tenuta" sia per quello di "piccola tenuta" per musicante. In particolare la "lira", che la circolare del 1862 aveva previsto quale unico fregio dei musicanti, venne sostituita da "alamari" sul colletto e sui paramani e da "cetre" sulla parte posteriore dell'abito.

La successiva "Istruzione sulla divisa dei RR - Carabinieri" del 1880 riprese l'argomento senza modificare i fregi ma precisandone, anche con disegni, tutti i particolari.
Con circolare n. 12337 del 20 ottobre 1883, dall'oggetto "Istruzione per il ristabilimento dei trombettieri", il Comando Generale raddoppiò il numero dei trombettieri per ciascuna Legione, istituì gli allievi trombettieri destinati a divenire trombettieri una volta acquisita la necessaria abilità e assegnò due trombettieri ad ogni comando di Divisione. Nel 1884 la Fanfara della Legione Allievi Carabinieri (nuova denominazione assunta dal 1867 dalla XIV Legione, sempre nella sua sede a Torino), in analogia a quanto era prescritto per le musiche dei Reggimenti di Fanteria e le fanfare dei reparti di Cavalleria, fu dotata di 19 strumenti a fiato e 5 a percussione. Nello stesso anno la Fanfara tenne, per la prima volta, un concerto pubblico. Suonò infatti a Torino, in occasione della Esposizione Generale Italiana, meritando un diploma per l' "organizzazione tecnica e l'efficienza artistica dimostrate".

http://www.carabinieri.it/arma/curiosita/la-banda-musicale/la-storia/le-origini 

Altro link :  https://it.wikipedia.org/wiki/Banda_musicale_dell%27Arma_dei_Carabinieri

24/08/17

Toscanini : il più grande direttore d'orchestra di tutti i tempi


Toscanini esigeva la perfezione, non era mai contento anche se dirigeva orchestre con ottimi musicisti tutti professori. Si narra che, dalla collera, tirò la bacchetta addosso ad un suonatore. Riusciva però a riconoscere un violino che stonava tra altri dieci, dirigeva intere opere a memoria e le sue esecuzioni sono entrate nella leggenda. Nel video dirige la marcia trionfale dall'opera Aida e relative danze.

famigliacristiana.it

Arturo Toscanini a 150 anni dalla nascita: tutto sul grande direttore

Giorgio Vitali

Il 25 marzo del 1867 nasceva a Parma Arturo Toscanini: “il” direttore d’orchestra per antonomasia. Per la ricorrenza dei 150 anni Riccardo Chailly dirige l’Orchestra della Scala e l’Orchestra Nazionale della Rai propone un concerto (diffuso da Rai Cultura) diretto da Michele Mariotti, pochi giorni fa proclamato “miglior direttore del 2016” dalla giuria del Premio Abbiati.
Ma chi era Arturo Toscanini? Toscanini non è stato il più grande direttore d’orchestra della storia della musica (pasti pensare all’altro “gigante” Victor De Sabata), ma colui che ha definitivamente consacrato il ruolo di una figura musicale nata all’inizio del diciannovesimo secolo e diventata centrale, carismatica, nel ventesimo secolo. Una vera leggenda: alimentata dalla sua biografia, dagli aneddoti che ne descrivono la determinazione, il carattere, la personalità, l’autorevolezza. E naturalmente dal suo valore come musicista.
Tutto nacque quando, giovane violoncellista (suonò anche per la prima di Otello con Giuseppe Verdi concertatore), durante una tourné con un’orchestra sudamericana sostituì il direttore, dirigendo Aida a memoria. Musicalmente era rigoroso, non tollerava compromessi ed arbitrii degli interpreti ed era fedele ai compositori. Cercava le novità e le imponeva al pubblico. Caratterialmente era burbero, quasi dittatoriale, col suo gesto pulito, il suo orecchio infallibile.
Venerava Wagner, e fu il primo italiano scritturato nel “tempio” di Bayreuth. Mentre Beethoven rappresentava per lui la vetta della musica sinfonica: “ho rinunciato a comporre, quando ho letto la Nona sinfonia”, disse. E poi amava ed eseguiva gli italiani: Verdi sopra tutti, ma anche Catalani, i “Veristi”, il Nerone di Boito.
Con Puccini ebbe un rapporto molto controverso, a causa del carattere di entrambi. Toscanini non risparmiava le sue critiche e Puccini era permaloso, geloso, a volte malinconico, a volte goliardico. Alla fine però Puccini riconobbe che nessuno avrebbe potuto dirigere Manon Lescaut come aveva fatto quello che chiamava “l’omaccio”. E Toscanini depose la bacchetta in occasione della prima della Turandot incompiuta nel punto in cui Puccini “era morto”.
Ma la vita di Toscanini è un florilegio di storie: il concerto a fiume nel 1920 per i patrioti e per incontrare l’amico Gabriele D’Annunzio; la sua avversione per razzismi e dittature; il rifiuto ad eseguire l’inno fascista nel 1931 a Bologna che gli costò il volontario esilio; il ritorno alla Scala ricostruita nel 1946 dopo i bombardamenti (scelse come primo brano l’ouverture della Gazza ladra di Rossini); le incisioni e la gloria americane; la non accettazione della nomina senatore a vita, perché disse “desidero finire la mia esistenza nella stessa semplicità in cui l’ho sempre percorsa”; la sua scelta di pagare i biglietti per i familiari che assistevano alle rappresentazioni alla Scala. Toscanini morì a New York nel 1957. A 60 anni di distanza quando si pensa ad un direttore d’orchestra si pensa a lui.
E dalla sua leggenda è nata una tradizione di direttori italiani che sono stati e continuano ad essere il vanto musicale del nostro Paese: Giulini, Abbado, Muti, Sinopoli, Chailly, Gatti, Luisi. Solo per citare i nomi più famosi di una tradizione che continua con i giovani: come Mariotti, appunto. Eredi, pur nelle infinite differenze, del Direttore d’orchestra per antonomasia.

 http://www.famigliacristiana.it/articolo/toscanini-a-150-anni-dalla-nascita.aspx
 
 


Toscanini raccontato da Gustavo Marchesi

Il musicologo parmense Gustavo Marchesi si è occupato a fondo della figura di Arturo Toscanini e ha realizzato diverse pubblicazioni dedicate al grande direttore d’ orchestra. In questa intervista del 2008, Marchesi parla di Toscanini presentando la sua più recente biografia del Maestro.
Dall’ incredibile esordio in Brasile, dove appena diciannovenne salvò la tournée della sua orchestra abbandonando il violoncello per salire sul podio e dirigere a memoria l’ Aida ,all’ avventura statunitense, la straordinaria vicenda artistica e umana di Arturo Toscanini (1867-1957) viene ricostruita dallo storico della musica Gustavo Marchesi in una biografia appena edita da Bompiani: Toscanini. Il libro, pubblicato in occasione del cinquantesimo anniversario della scomparsa del Maestro, è ricco di dettagli di cronaca, aneddoti e testimonianze che aiutano a comprendere non solo le scelte interpretative ma anche il carattere del personaggio; il biografo, in particolare, ne tratteggia con cura gli anni della formazione giovanile nella Parma postunitaria. Marchesi, che è stato docente nel Conservatorio cittadino, critico musicale su giornali e riviste e uno dei fondatori dell’ Istituto Nazionale di Studi Verdiani, non cela la sua ammirazione per il Maestro, lasciando tuttavia spazio a voci e fatti anche contraddittori. In questa intervista ci spiega i motivi che hanno reso Toscanini unico e indimenticato.
Secondo lei, perché Arturo Toscanini è stato un grande direttore d’orchestra?
«Le sue qualità erano molteplici e stupefacenti. Ciò che impressionava maggiormente il pubblico era la sua memoria straordinaria. Non era l’ unico direttore d’orchestra a possedere tale dote, però nel suo caso si può affermare che si tratti della più grande memoria di direttore d’orchestra mai esistita. Aveva una memoria visiva che gli consentiva di ricordare, anche a distanza di tempo, le partiture che studiava. In particolare, negli anni giovanili, si trattava di un repertorio di notevoli dimensioni e complesso, che richiedeva uno sforzo non indifferente. Il secondo dato era la sua energia incredibile, che gli ha dato la forza di lavorare fino agli ultimi anni, aiutato anche da un’ ottima salute. Questa energia non era soltanto un dinamismo che lo favoriva nel lavoro, ma una caratteristica che si trasmetteva direttamente all’ ascoltatore, catturato nel vortice della sua grande vitalità. Questo faceva sì che le sue interpretazioni non fossero mai noiose, ma esaltanti.
Nel corso degli anni, il maestro si è perfezionato. La maturazione è avvenuta passando da un primo momento in cui dirigeva sostanzialmente opera lirica al più grande repertorio sinfonico, soprattutto dell’ Ottocento, attività che integrava con il lavoro delle incisioni su disco, delle trasmissioni radio effettuate in America. Ci furono, inoltre, registrazioni con filmati televisivi, quelli della NBC Symphony Orchestra, che costituiscono un patrimonio eccezionale. Tutto ciò delinea una personalità potente, capace di imprimersi nella memoria in maniera durevole. Il suo repertorio discografico è, ancora oggi, guardato con ammirazione, stampato e anche migliorato nella ristampa. Ci aspettano, ritengo, altre sorprese di indubbio valore tratte dalle sue registrazioni che vengono ancora oggi esplorate, anche se non tutte vagliate dal Maestro. Bisogna considerare comunque che Toscanini negli ultimi anni si è dedicato a rivedere accuratamente tutto il suo patrimonio discografico, spesso con l’ aiuto del figlio Walter. Fino all’ultimo ha apportato dei ritocchi e delle modifiche, perché era incontentabile e molto scrupoloso».
Da cosa dipende la sua fama? Nel suo libro, Toscanini , presenta il maestro affermando che «il segreto del successo risiedeva anche nel ringiovanire gli autori che conosceva meglio», in particolare Verdi.
«Eugenio Montale, che si era affermato anche come critico musicale e grande appassionato di musica al punto da affermare “Io sono un baritono, un baritono mancato perché non ho seguito gli studi, ma sono un baritono!”, seguì l’ attività della Scala e, in particolare, dell’ ultimo Toscanini, ritornato in Italia dopo la guerra. In occasione dell’ anniversario della morte del maestro, Montale gli dedica un saggio, in cui delinea il profilo di un uomo che entra nella storia del teatro e del melodramma, in un momento in cui, peraltro, il melodramma era certamente molto popolare, tra la fine dell’ Ottocento e i primi del Novecento, ma “strapazzato” da esecuzioni “di routine”. Il teatro, invece, all’ epoca era considerato un passatempo, una passerella per le voci. Tutto il resto era molto trascurato, il senso drammatico delle opere e la mise en scène erano elementi “incontrollabili”, nel senso che il direttore d’ orchestra non aveva l’ autorità di imporsi nella condotta di uno spettacolo in modo globale, affinché tutto funzionasse secondo la volontà dell’ autore. Toscanini, invece, riuscì a farlo, con grandi sforzi e, soprattutto, volontà. Non era facile, del resto, farsi rispettare, al punto che rischiò di essere allontanato da alcuni teatri, soprattutto in gioventù, per la sua inflessibilità. Anche Verdi ebbe, per merito suo, una “rinfrescata” memorabile, soprattutto per le prime opere, poiché le ultime, l’ Aida per esempio, erano già considerate con particolare riguardo. Al contrario, le opere del cosiddetto primo e secondo periodo, soprattutto quelle dette “popolari”, il Rigoletto , il Trovatore e la Traviata,erano considerate una palestra per le voci, con cui impressionare il pubblico; nessuno, però, si preoccupava che fossero curate dal punto di vista musicale. Toscanini portò avanti delle opere che furono delle vere e proprie scoperte, quale il Trovatore, per il modo rigoroso in cui metteva in risalto la bellezza della musica.
Così fece con la Lucia di Lammermoor di Donizetti, altro autore molto maltrattato, la cui opera portò in Germania, creando molto clamore, anche perché molti si domandarono, e tra questi il grande direttore d’orchestra austriaco Herbert von Karajan, perché il maestro avesse scelto di portare in giro un’ opera considerata banale. Si resero poi conto che era un capolavoro e rimasero tutti a bocca aperta. Karajan, scrisse: “Ci siamo resi conto di che grande interprete fosse e della fortuna che abbiamo avuto di poter ascoltare in questi termini un repertorio che noi consideravamo di consumo per un pubblico non preparato”. Toscanini fece una lotta durissima perché il melodramma e i costumi del teatro fossero rinnovati».
Quali furono gli artisti più amati da Toscanini?
«Toscanini è il più grande interprete di Verdi, con cui si avverte una coincidenza di carattere e di sensibilità; si distinse, però, anche come il più grande esecutore di Wagner: purtroppo conserviamo soltanto le ouverture wagneriane come esempio di tale lavoro. Fu Toscanini a valorizzare pienamente Wagner in Italia. Naturalmente, queste prime esecuzioni erano cantate in italiano, Giuseppe Borgatti, uno dei grandi tenori di Toscanini, cantava il Tristano in italiano, anche perché non c’erano cantanti tedeschi che venissero in Italia per interpretare queste opere e, soprattutto, il pubblico non era abituato ad ascoltarle in lingua originale. Rappresentato alla Scala, il Tristano sbalordì per la bellezza, l’ accuratezza e la precisione. Il figlio di Richard Wagner, Siegfried, presente per l’ occasione, riferì alla madre l’entusiasmo che aveva suscitato in lui il direttore. Cosima Wagner scriverà al maestro una lettera di encomio (18 gennaio 1901), da considerarsi come una sorta di “decorazione wagneriana”. Anche a Bayreuth (1930-31), Toscanini si distinguerà come un prodigio di assimilazione. Pur non conoscendo perfettamente il tedesco, riuscì a dirigere i cantanti come mai si era sentito fino ad allora, secondo l’ opinione di Karajan, allora assistente di palcoscenico e aiuto per i cantanti. A suo parere, le opere di Toscanini furono una lezione indimenticabile, per la bellezza lirica e trasparente, per la melodia perfetta, per la perfetta resa della parola, che contrastava l’ enfasi sempre retorica e smodata che andava di moda a Bayreuth. Una lezione straordinaria, interrotta, purtroppo, dalla sciagura del nazismo, a causa del quale Toscanini declinò, adducendo motivi di salute, l’ invito di Adolf Hitler che avrebbe voluto sentire le sue interpretazioni nel grande tempio wagneriano».
Quale fu dunque il ruolo politico di Toscanini e il suo rapporto con Mussolini?
«La presa di posizione sul nazismo viene dopo la sua avversione al fascismo. In un primo momento aderisce alla famosa lista dei fascisti cosiddetti sansepolcristi a Milano, nel 1919. Riteneva, infatti, che il programma fosse importante per l’ Italia, sia sotto il profilo sociale, sia sotto quello della difesa di alcuni valori culturali, che ricordavano le origini socialiste della famiglia; inoltre, il movimento fascista, all’inizio, si configurava come eredità della Grande guerra, in cui aveva creduto, partecipando attivamente con le esecuzioni  bandistiche sul fronte dell’ Isonzo e organizzando opere e concerti a Milano per le famiglie delle vittime. Del resto, il figlio Walter era partito volontario, mentre la moglie e la figlia Wally avevano aderito alla Croce Rossa. Subito dopo, nel 1922, al ritorno dalla tournée americana, forse in seguito all’ impatto e al confronto con un altro mondo, si distacca dal fascismo in coincidenza con la marcia di ottobre del 1922. Ciò che principalmente toccava la sua sensibilità era la “negazione della libertà”. Si mise del tutto in urto col fascismo e rifiutandosi di eseguire l’ inno Giovinezza per la commemorazione di Giuseppe Martucci a Bologna, nel 1931, arrivò a essere preso quasi a ceffoni da una squadraccia che tentava di costringerlo, all’ ingresso del teatro. In seguito all’ episodio, Toscanini decide di non dirigere mai più in Italia. Il regime lo perseguita, lo spia. Gli ritirano il passaporto, anche perché, poco dopo il 1931, il maestro si lega al Movimento ebraico internazionale e si reca in Israele per sostenere la fondazione dell’ Orchestra sinfonica di Tel Aviv, presieduta da una personalità del calibro di Albert Einstein, presidente del comitato per la costituzione dell’ Orchestra, e anche del violinista Bronislaw Huberman: ciò irrita il Fascismo, che aveva già promulgato le leggi razziali e che gli ritira il passaporto. Con lo scoppio della Seconda Guerra mondiale, non essendo più possibile, fra l’ altro, attraversare l’ oceano, Toscanini resterà quindi in America».
Nel suo libro, pone l’ accento su un aspetto spesso ignorato: il rapporto di Toscanini con Gabriele D’ Annunzio.
«La stima e il rispetto reciproco tra i due si protrasse negli anni. Ci fu un momento importante: quando Toscanini si recò a Fiume nella tournée del 1920- 21. La città, contesa dagli slavi e dal governo italiano, era stata occupata da D’ Annunzio e dai suoi legionari e il maestro sostenne l’ impresa dirigendovi un concerto. L’ ammirazione di Toscanini per lo scrittore derivava soprattutto dall’ esperienza della guerra, poiché il maestro vedeva in lui la figura del poeta-soldato e poiché era molto legato all’ Italia e al suo mondo culturale, agli italiani. Il compositore Giacomo Puccini, molto amico di Toscanini, era germanofilo, perché vedeva nel mondo tedesco una civiltà che avrebbe potuto essere benefica anche per il popolo italiano, che era disordinato. Toscanini si arrabbiava per la predisposizione germanofila del compositore, ma è pur vero che anche il grande direttore d’ orchestra era contraddittorio: amava il patrimonio sinfonico tedesco (Beethoven), l’ opera, era ammiratore di Wagner, ma, in realtà, era antitedesco, perché, come temperamento e per il valore che dava alla libertà, riteneva che i tedeschi avessero delle durezze insopportabili. Difese sempre l’ Italia».
Forse questo derivava anche dall’ eredità paterna?
«Certo. Il padre era stato garibaldino, aveva rischiato la morte, era stato in galera. Si occupava di politica tanto che la famiglia era stata considerata sospetta dalla polizia, per cui erano stati pedinati e spiati. Toscanini mantenne ideali patriottici e liberali».
Quali sono le maggiori critiche che vengono mosse al maestro?
«Quando andò alla Scala, nel 1896, cominciò a essere bombardato di critiche, forse anche per rivalità, in quanto oscurava gli altri maestri. Arrivò come un terremoto, voleva mettere ordine, imporre un numero di prove come non si era mai fatto ed era molto esigente. Scatenò quindi molte critiche, talvolta interessanti, perché il rigore che impose poteva risultare, in certi casi, eccessivo, così come il temperamento debordante. L’ interpretazione di alcune opere da parte di Tocanini provocò l’ostilità di persone vicine a Giuseppe Verdi, come Giulio Ricordi, critiche tutto sommato non giuste, ma che sottolineavano l’ impietosa volontà di Toscanini di concentrare tutte le sue energie nell’ abolire ogni “concessione”, talvolta importante, nelle opere. Era inflessibile ed energico, ma talvolta duro, poco dolce. Gli fu detto che era un perfetto maestro di solfeggio, ma non un direttore d’ orchestra. Il valore che dava alla bellezza, alla resa dell’ orchestra, in certi casi poteva sembrare non totalmente in linea con la volontà dell’ autore. Toscanini si preoccupava di rispettare la pagina scritta e la volontà dell’ autore, in una ricerca di perfezione geometrica, limpida e lucida, che non corrispondeva sempre alla necessità dell’ opera d’ arte. La critica più geniale che gli fu mossa, quella di Bruno Barilli, suo concittadino, è curiosa ma ha del vero. Questi affermava: “Ma io preferirei anche qualche cosa di meno perfetto, di più malato; in fondo gli artisti devono anche testimoniare di una sofferenza di un autore”, mentre in Toscanini c’ è sempre salute e luminosità. Questo elemento subisce evidentemente delle varianti in occasione delle esecuzioni effettuate di sera in sera. Il suo merito consiste, invece, nel fatto che fra l’ altro aveva il dono di essere un accompagnatore meraviglioso, che rispettava le personalità dei cantanti, malgrado la sua personalità autocratica».
Si dice che Toscanini abbia riformato la prassi esecutiva del melodramma accostandolo, con pari dignità al repertorio sinfonico, ponendo quindi attenzione ai valori musicali espressi dall’ orchestra e proponendo una concezione unitaria dell’ interpretazione dell’ opera.
«Esattamente. Questa è la grande novità dell’ interpretazione di Toscanini: che abbia immesso nell’ opera bellezze che si rispettavano solo nel repertorio sinfonico. Ad esempio, Gaetano Donizetti era un ottimo strumentatore, aveva alle spalle una cultura di tipo tedesco che non veniva riconosciuta, come nel caso del Don Pasquale . Al tempo di Toscanini, il valore del melodramma era dato dai cantanti. Toscanini pone attenzione alla sinfonia, alla mise en scène, ai particolari scenici e agli atteggiamenti. Si occupava di tutto, proponendo un atteggiamento nuovo in un’epoca che negava al direttore d’ orchestra questa qualità. Semmai, era l’ impresario che se ne occupava».
Lei ha un legame “affettivo” con Toscanini, con cui ha lavorato suo padre.
«Sì, fu scritturato all’ Augusteo a Roma, per cui assistette al famoso incidente accaduto nel 1916, quando il maestro dirigeva la marcia funebre del Crepuscolo degli Dei . Dal pubblico arrivò la voce di un uomo che gridava “Questo per i morti di Padova”, a proposito del bombardamento dell’aviazione tedesca a Padova, che aveva provocato molti morti, un lutto molto sentito. Toscanini reagì lasciando il podio, spezzando la bacchetta e urlando che “La musica è superiore a tutto”, lui che era un patriota. Mio padre suonò nell’ orchestra nel 1920- 21 e in America, ma non mi permise di conoscerlo. Probabilmente scrissi questo libro per conciliarmi con l’ idea che, quando ero piccolo e Toscanini soggiornava all’ Isolino di San Giovanni, mio padre mi impediva di chiamarlo. Le cartoline che mio padre inviava dall’ America erano talvolta intrise di sconforto per le condizioni spesso precarie e per il nervosismo del maestro, rivelano il profilo di un uomo inflessibile nel lavoro, ma che al di fuori delle prove era affettuoso, premuroso e molto paterno. Mostrava amabilità e parlava con questi giovani in dialetto, dando loro consigli».
Lei sta pubblicando un libro su Toscanini e Parma. Che legame aveva il maestro con la città?
« Toscanini e Parma viene presentato il 6 febbraio, edito da Mup (Monte Università Parma) a cura di Guido Conti, in occasione della mostra dal titolo “L’ardente libertà di un dialogo”, a sottolineare, per l’appunto, il dialogo, durato nel tempo, tra il direttore e la città. Il rapporto di Toscanini con Parma è interessante, perché ha inciso sulla sua professionalità, sulle preferenze e sul modo di fare la musica: è lì che ha conosciuto, in giovane età, Wagner e Verdi, due universi artistici allora in contrasto. Conobbe la musica di Verdi al Teatro Regio, dove si recava a suonare come violoncellista e dove andava da piccolo a vedere le opere accompagnato dai parenti, dando già giudizi sui cantanti, in maniera rigida e buffa per un bambino, ma sempre a ragion veduta. Sempre al Teatro Regio di Parma fu colpito anche da Wagner, che Toscanini considerava il più grande musicista mai esistito, al tempo in cui ancora suonava il violoncello nel Lohengrin, prima ancora, quindi, di stupire il mondo con l’ episodio di Rio de Janeiro, in Brasile, in cui rivelò le incredibili e straordinarie doti di direttore d’ orchestra».
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