Toscanini esigeva la perfezione, non era mai contento anche se dirigeva orchestre con ottimi musicisti tutti professori. Si narra che, dalla collera, tirò la bacchetta addosso ad un suonatore. Riusciva però a riconoscere un violino che stonava tra altri dieci, dirigeva intere opere a memoria e le sue esecuzioni sono entrate nella leggenda. Nel video dirige la marcia trionfale dall'opera Aida e relative danze.
famigliacristiana.it
Arturo Toscanini a 150 anni dalla nascita: tutto sul grande direttore
Giorgio Vitali
Il 25 marzo del 1867 nasceva a Parma Arturo Toscanini:
“il” direttore d’orchestra per antonomasia. Per la ricorrenza dei 150
anni Riccardo Chailly dirige l’Orchestra della Scala e l’Orchestra
Nazionale della Rai propone un concerto (diffuso da Rai Cultura) diretto
da Michele Mariotti, pochi giorni fa proclamato “miglior direttore del
2016” dalla giuria del Premio Abbiati.
Ma chi era Arturo Toscanini? Toscanini non è stato il più grande direttore d’orchestra della storia della musica (pasti pensare all’altro “gigante” Victor De Sabata), ma colui che ha definitivamente consacrato il ruolo di una figura musicale nata all’inizio del diciannovesimo secolo e diventata centrale, carismatica, nel ventesimo secolo. Una vera leggenda: alimentata dalla sua biografia, dagli aneddoti che ne descrivono la determinazione, il carattere, la personalità, l’autorevolezza. E naturalmente dal suo valore come musicista.
Tutto nacque quando, giovane violoncellista (suonò anche per la prima di Otello con Giuseppe Verdi concertatore), durante una tourné con un’orchestra sudamericana sostituì il direttore, dirigendo Aida a memoria. Musicalmente era rigoroso, non tollerava compromessi ed arbitrii degli interpreti ed era fedele ai compositori. Cercava le novità e le imponeva al pubblico. Caratterialmente era burbero, quasi dittatoriale, col suo gesto pulito, il suo orecchio infallibile.
Venerava Wagner, e fu il primo italiano scritturato nel “tempio” di Bayreuth. Mentre Beethoven rappresentava per lui la vetta della musica sinfonica: “ho rinunciato a comporre, quando ho letto la Nona sinfonia”, disse. E poi amava ed eseguiva gli italiani: Verdi sopra tutti, ma anche Catalani, i “Veristi”, il Nerone di Boito.
Con Puccini ebbe un rapporto molto controverso, a causa del carattere di entrambi. Toscanini non risparmiava le sue critiche e Puccini era permaloso, geloso, a volte malinconico, a volte goliardico. Alla fine però Puccini riconobbe che nessuno avrebbe potuto dirigere Manon Lescaut come aveva fatto quello che chiamava “l’omaccio”. E Toscanini depose la bacchetta in occasione della prima della Turandot incompiuta nel punto in cui Puccini “era morto”.
Ma la vita di Toscanini è un florilegio di storie: il concerto a fiume nel 1920 per i patrioti e per incontrare l’amico Gabriele D’Annunzio; la sua avversione per razzismi e dittature; il rifiuto ad eseguire l’inno fascista nel 1931 a Bologna che gli costò il volontario esilio; il ritorno alla Scala ricostruita nel 1946 dopo i bombardamenti (scelse come primo brano l’ouverture della Gazza ladra di Rossini); le incisioni e la gloria americane; la non accettazione della nomina senatore a vita, perché disse “desidero finire la mia esistenza nella stessa semplicità in cui l’ho sempre percorsa”; la sua scelta di pagare i biglietti per i familiari che assistevano alle rappresentazioni alla Scala. Toscanini morì a New York nel 1957. A 60 anni di distanza quando si pensa ad un direttore d’orchestra si pensa a lui.
E dalla sua leggenda è nata una tradizione di direttori italiani che sono stati e continuano ad essere il vanto musicale del nostro Paese: Giulini, Abbado, Muti, Sinopoli, Chailly, Gatti, Luisi. Solo per citare i nomi più famosi di una tradizione che continua con i giovani: come Mariotti, appunto. Eredi, pur nelle infinite differenze, del Direttore d’orchestra per antonomasia.
http://www.famigliacristiana.it/articolo/toscanini-a-150-anni-dalla-nascita.aspx
Ma chi era Arturo Toscanini? Toscanini non è stato il più grande direttore d’orchestra della storia della musica (pasti pensare all’altro “gigante” Victor De Sabata), ma colui che ha definitivamente consacrato il ruolo di una figura musicale nata all’inizio del diciannovesimo secolo e diventata centrale, carismatica, nel ventesimo secolo. Una vera leggenda: alimentata dalla sua biografia, dagli aneddoti che ne descrivono la determinazione, il carattere, la personalità, l’autorevolezza. E naturalmente dal suo valore come musicista.
Tutto nacque quando, giovane violoncellista (suonò anche per la prima di Otello con Giuseppe Verdi concertatore), durante una tourné con un’orchestra sudamericana sostituì il direttore, dirigendo Aida a memoria. Musicalmente era rigoroso, non tollerava compromessi ed arbitrii degli interpreti ed era fedele ai compositori. Cercava le novità e le imponeva al pubblico. Caratterialmente era burbero, quasi dittatoriale, col suo gesto pulito, il suo orecchio infallibile.
Venerava Wagner, e fu il primo italiano scritturato nel “tempio” di Bayreuth. Mentre Beethoven rappresentava per lui la vetta della musica sinfonica: “ho rinunciato a comporre, quando ho letto la Nona sinfonia”, disse. E poi amava ed eseguiva gli italiani: Verdi sopra tutti, ma anche Catalani, i “Veristi”, il Nerone di Boito.
Con Puccini ebbe un rapporto molto controverso, a causa del carattere di entrambi. Toscanini non risparmiava le sue critiche e Puccini era permaloso, geloso, a volte malinconico, a volte goliardico. Alla fine però Puccini riconobbe che nessuno avrebbe potuto dirigere Manon Lescaut come aveva fatto quello che chiamava “l’omaccio”. E Toscanini depose la bacchetta in occasione della prima della Turandot incompiuta nel punto in cui Puccini “era morto”.
Ma la vita di Toscanini è un florilegio di storie: il concerto a fiume nel 1920 per i patrioti e per incontrare l’amico Gabriele D’Annunzio; la sua avversione per razzismi e dittature; il rifiuto ad eseguire l’inno fascista nel 1931 a Bologna che gli costò il volontario esilio; il ritorno alla Scala ricostruita nel 1946 dopo i bombardamenti (scelse come primo brano l’ouverture della Gazza ladra di Rossini); le incisioni e la gloria americane; la non accettazione della nomina senatore a vita, perché disse “desidero finire la mia esistenza nella stessa semplicità in cui l’ho sempre percorsa”; la sua scelta di pagare i biglietti per i familiari che assistevano alle rappresentazioni alla Scala. Toscanini morì a New York nel 1957. A 60 anni di distanza quando si pensa ad un direttore d’orchestra si pensa a lui.
E dalla sua leggenda è nata una tradizione di direttori italiani che sono stati e continuano ad essere il vanto musicale del nostro Paese: Giulini, Abbado, Muti, Sinopoli, Chailly, Gatti, Luisi. Solo per citare i nomi più famosi di una tradizione che continua con i giovani: come Mariotti, appunto. Eredi, pur nelle infinite differenze, del Direttore d’orchestra per antonomasia.
http://www.famigliacristiana.it/articolo/toscanini-a-150-anni-dalla-nascita.aspx
Toscanini raccontato da Gustavo Marchesi
Il musicologo parmense Gustavo Marchesi si è occupato a fondo
della figura di Arturo Toscanini e ha realizzato diverse pubblicazioni
dedicate al grande direttore d’ orchestra. In questa intervista del
2008, Marchesi parla di Toscanini presentando la sua più recente biografia del Maestro.
Dall’ incredibile esordio in Brasile, dove appena diciannovenne
salvò la tournée della sua orchestra abbandonando il violoncello per
salire sul podio e dirigere a memoria l’ Aida ,all’ avventura
statunitense, la straordinaria vicenda artistica e umana di Arturo
Toscanini (1867-1957) viene ricostruita dallo storico della musica
Gustavo Marchesi in una biografia appena edita da Bompiani: Toscanini.
Il libro, pubblicato in occasione del cinquantesimo anniversario della
scomparsa del Maestro, è ricco di dettagli di cronaca, aneddoti e
testimonianze che aiutano a comprendere non solo le scelte
interpretative ma anche il carattere del personaggio; il biografo, in
particolare, ne tratteggia con cura gli anni della formazione giovanile
nella Parma postunitaria. Marchesi, che è stato docente nel
Conservatorio cittadino, critico musicale su giornali e riviste e uno
dei fondatori dell’ Istituto Nazionale di Studi Verdiani, non cela la
sua ammirazione per il Maestro, lasciando tuttavia spazio a voci e fatti
anche contraddittori. In questa intervista ci spiega i motivi che hanno
reso Toscanini unico e indimenticato.
Secondo lei, perché Arturo Toscanini è stato un grande direttore d’orchestra?
«Le sue qualità erano molteplici e stupefacenti. Ciò che
impressionava maggiormente il pubblico era la sua memoria straordinaria.
Non era l’ unico direttore d’orchestra a possedere tale dote, però nel
suo caso si può affermare che si tratti della più grande memoria di
direttore d’orchestra mai esistita. Aveva una memoria visiva che gli
consentiva di ricordare, anche a distanza di tempo, le partiture che
studiava. In particolare, negli anni giovanili, si trattava di un
repertorio di notevoli dimensioni e complesso, che richiedeva uno sforzo
non indifferente. Il secondo dato era la sua energia incredibile, che
gli ha dato la forza di lavorare fino agli ultimi anni, aiutato anche da
un’ ottima salute. Questa energia non era soltanto un dinamismo che lo
favoriva nel lavoro, ma una caratteristica che si trasmetteva
direttamente all’ ascoltatore, catturato nel vortice della sua grande
vitalità. Questo faceva sì che le sue interpretazioni non fossero mai
noiose, ma esaltanti.
Nel corso degli anni, il maestro si è perfezionato. La maturazione è
avvenuta passando da un primo momento in cui dirigeva sostanzialmente
opera lirica al più grande repertorio sinfonico, soprattutto dell’
Ottocento, attività che integrava con il lavoro delle incisioni su
disco, delle trasmissioni radio effettuate in America. Ci furono,
inoltre, registrazioni con filmati televisivi, quelli della NBC Symphony
Orchestra, che costituiscono un patrimonio eccezionale. Tutto ciò
delinea una personalità potente, capace di imprimersi nella memoria in
maniera durevole. Il suo repertorio discografico è, ancora oggi,
guardato con ammirazione, stampato e anche migliorato nella ristampa. Ci
aspettano, ritengo, altre sorprese di indubbio valore tratte dalle sue
registrazioni che vengono ancora oggi esplorate, anche se non tutte
vagliate dal Maestro. Bisogna considerare comunque che Toscanini negli
ultimi anni si è dedicato a rivedere accuratamente tutto il suo
patrimonio discografico, spesso con l’ aiuto del figlio Walter. Fino
all’ultimo ha apportato dei ritocchi e delle modifiche, perché era
incontentabile e molto scrupoloso».
Da cosa dipende la sua fama? Nel suo libro, Toscanini ,
presenta il maestro affermando che «il segreto del successo risiedeva
anche nel ringiovanire gli autori che conosceva meglio», in particolare
Verdi.
«Eugenio Montale, che si era affermato anche come critico musicale e
grande appassionato di musica al punto da affermare “Io sono un
baritono, un baritono mancato perché non ho seguito gli studi, ma sono
un baritono!”, seguì l’ attività della Scala e, in particolare, dell’
ultimo Toscanini, ritornato in Italia dopo la guerra. In occasione dell’
anniversario della morte del maestro, Montale gli dedica un saggio, in
cui delinea il profilo di un uomo che entra nella storia del teatro e
del melodramma, in un momento in cui, peraltro, il melodramma era
certamente molto popolare, tra la fine dell’ Ottocento e i primi del
Novecento, ma “strapazzato” da esecuzioni “di routine”. Il teatro,
invece, all’ epoca era considerato un passatempo, una passerella per le
voci. Tutto il resto era molto trascurato, il senso drammatico delle
opere e la mise en scène erano elementi “incontrollabili”, nel
senso che il direttore d’ orchestra non aveva l’ autorità di imporsi
nella condotta di uno spettacolo in modo globale, affinché tutto
funzionasse secondo la volontà dell’ autore. Toscanini, invece, riuscì a
farlo, con grandi sforzi e, soprattutto, volontà. Non era facile, del
resto, farsi rispettare, al punto che rischiò di essere allontanato da
alcuni teatri, soprattutto in gioventù, per la sua inflessibilità. Anche
Verdi ebbe, per merito suo, una “rinfrescata” memorabile, soprattutto
per le prime opere, poiché le ultime, l’ Aida per esempio,
erano già considerate con particolare riguardo. Al contrario, le opere
del cosiddetto primo e secondo periodo, soprattutto quelle dette
“popolari”, il Rigoletto , il Trovatore e la Traviata,erano
considerate una palestra per le voci, con cui impressionare il
pubblico; nessuno, però, si preoccupava che fossero curate dal punto di
vista musicale. Toscanini portò avanti delle opere che furono delle vere
e proprie scoperte, quale il Trovatore, per il modo rigoroso in cui metteva in risalto la bellezza della musica.
Così fece con la Lucia di Lammermoor di
Donizetti, altro autore molto maltrattato, la cui opera portò in
Germania, creando molto clamore, anche perché molti si domandarono, e
tra questi il grande direttore d’orchestra austriaco Herbert von
Karajan, perché il maestro avesse scelto di portare in giro un’ opera
considerata banale. Si resero poi conto che era un capolavoro e rimasero
tutti a bocca aperta. Karajan, scrisse: “Ci siamo resi conto di che
grande interprete fosse e della fortuna che abbiamo avuto di poter
ascoltare in questi termini un repertorio che noi consideravamo di
consumo per un pubblico non preparato”. Toscanini fece una lotta
durissima perché il melodramma e i costumi del teatro fossero
rinnovati».
Quali furono gli artisti più amati da Toscanini?
«Toscanini è il più grande interprete di Verdi, con cui si avverte
una coincidenza di carattere e di sensibilità; si distinse, però, anche
come il più grande esecutore di Wagner: purtroppo conserviamo soltanto
le ouverture wagneriane come esempio di tale lavoro. Fu
Toscanini a valorizzare pienamente Wagner in Italia. Naturalmente,
queste prime esecuzioni erano cantate in italiano, Giuseppe Borgatti,
uno dei grandi tenori di Toscanini, cantava il Tristano in
italiano, anche perché non c’erano cantanti tedeschi che venissero in
Italia per interpretare queste opere e, soprattutto, il pubblico non era
abituato ad ascoltarle in lingua originale. Rappresentato alla Scala,
il Tristano sbalordì per la bellezza, l’ accuratezza e la
precisione. Il figlio di Richard Wagner, Siegfried, presente per l’
occasione, riferì alla madre l’entusiasmo che aveva suscitato in lui il
direttore. Cosima Wagner scriverà al maestro una lettera di encomio (18
gennaio 1901), da considerarsi come una sorta di “decorazione
wagneriana”. Anche a Bayreuth (1930-31), Toscanini si distinguerà come
un prodigio di assimilazione. Pur non conoscendo perfettamente il
tedesco, riuscì a dirigere i cantanti come mai si era sentito fino ad
allora, secondo l’ opinione di Karajan, allora assistente di
palcoscenico e aiuto per i cantanti. A suo parere, le opere di Toscanini
furono una lezione indimenticabile, per la bellezza lirica e
trasparente, per la melodia perfetta, per la perfetta resa della parola,
che contrastava l’ enfasi sempre retorica e smodata che andava di moda a
Bayreuth. Una lezione straordinaria, interrotta, purtroppo, dalla
sciagura del nazismo, a causa del quale Toscanini declinò, adducendo
motivi di salute, l’ invito di Adolf Hitler che avrebbe voluto sentire
le sue interpretazioni nel grande tempio wagneriano».
Quale fu dunque il ruolo politico di Toscanini e il suo rapporto con Mussolini?
«La presa di posizione sul nazismo viene dopo la sua avversione al
fascismo. In un primo momento aderisce alla famosa lista dei fascisti
cosiddetti sansepolcristi a Milano, nel 1919. Riteneva, infatti, che il
programma fosse importante per l’ Italia, sia sotto il profilo sociale,
sia sotto quello della difesa di alcuni valori culturali, che
ricordavano le origini socialiste della famiglia; inoltre, il movimento
fascista, all’inizio, si configurava come eredità della Grande guerra,
in cui aveva creduto, partecipando attivamente con le esecuzioni
bandistiche sul fronte dell’ Isonzo e organizzando opere e concerti a
Milano per le famiglie delle vittime. Del resto, il figlio Walter era
partito volontario, mentre la moglie e la figlia Wally avevano aderito
alla Croce Rossa. Subito dopo, nel 1922, al ritorno dalla tournée
americana, forse in seguito all’ impatto e al confronto con un altro
mondo, si distacca dal fascismo in coincidenza con la marcia di ottobre
del 1922. Ciò che principalmente toccava la sua sensibilità era la
“negazione della libertà”. Si mise del tutto in urto col fascismo e
rifiutandosi di eseguire l’ inno Giovinezza per la
commemorazione di Giuseppe Martucci a Bologna, nel 1931, arrivò a essere
preso quasi a ceffoni da una squadraccia che tentava di costringerlo,
all’ ingresso del teatro. In seguito all’ episodio, Toscanini decide di
non dirigere mai più in Italia. Il regime lo perseguita, lo spia. Gli
ritirano il passaporto, anche perché, poco dopo il 1931, il maestro si
lega al Movimento ebraico internazionale e si reca in Israele per
sostenere la fondazione dell’ Orchestra sinfonica di Tel Aviv,
presieduta da una personalità del calibro di Albert Einstein, presidente
del comitato per la costituzione dell’ Orchestra, e anche del
violinista Bronislaw Huberman: ciò irrita il Fascismo, che aveva già
promulgato le leggi razziali e che gli ritira il passaporto. Con lo
scoppio della Seconda Guerra mondiale, non essendo più possibile, fra l’
altro, attraversare l’ oceano, Toscanini resterà quindi in America».
Nel suo libro, pone l’ accento su un aspetto spesso ignorato: il rapporto di Toscanini con Gabriele D’ Annunzio.
«La stima e il rispetto reciproco tra i due si protrasse negli
anni. Ci fu un momento importante: quando Toscanini si recò a Fiume
nella tournée del 1920- 21. La città, contesa dagli slavi e dal governo
italiano, era stata occupata da D’ Annunzio e dai suoi legionari e il
maestro sostenne l’ impresa dirigendovi un concerto. L’ ammirazione di
Toscanini per lo scrittore derivava soprattutto dall’ esperienza della
guerra, poiché il maestro vedeva in lui la figura del poeta-soldato e
poiché era molto legato all’ Italia e al suo mondo culturale, agli
italiani. Il compositore Giacomo Puccini, molto amico di Toscanini, era
germanofilo, perché vedeva nel mondo tedesco una civiltà che avrebbe
potuto essere benefica anche per il popolo italiano, che era
disordinato. Toscanini si arrabbiava per la predisposizione germanofila
del compositore, ma è pur vero che anche il grande direttore d’
orchestra era contraddittorio: amava il patrimonio sinfonico tedesco
(Beethoven), l’ opera, era ammiratore di Wagner, ma, in realtà, era
antitedesco, perché, come temperamento e per il valore che dava alla
libertà, riteneva che i tedeschi avessero delle durezze insopportabili.
Difese sempre l’ Italia».
Forse questo derivava anche dall’ eredità paterna?
«Certo. Il padre era stato garibaldino, aveva rischiato la morte,
era stato in galera. Si occupava di politica tanto che la famiglia era
stata considerata sospetta dalla polizia, per cui erano stati pedinati e
spiati. Toscanini mantenne ideali patriottici e liberali».
Quali sono le maggiori critiche che vengono mosse al maestro?
«Quando andò alla Scala, nel 1896, cominciò a essere bombardato di
critiche, forse anche per rivalità, in quanto oscurava gli altri
maestri. Arrivò come un terremoto, voleva mettere ordine, imporre un
numero di prove come non si era mai fatto ed era molto esigente. Scatenò
quindi molte critiche, talvolta interessanti, perché il rigore che
impose poteva risultare, in certi casi, eccessivo, così come il
temperamento debordante. L’ interpretazione di alcune opere da parte di
Tocanini provocò l’ostilità di persone vicine a Giuseppe Verdi, come
Giulio Ricordi, critiche tutto sommato non giuste, ma che sottolineavano
l’ impietosa volontà di Toscanini di concentrare tutte le sue energie
nell’ abolire ogni “concessione”, talvolta importante, nelle opere. Era
inflessibile ed energico, ma talvolta duro, poco dolce. Gli fu detto che
era un perfetto maestro di solfeggio, ma non un direttore d’ orchestra.
Il valore che dava alla bellezza, alla resa dell’ orchestra, in certi
casi poteva sembrare non totalmente in linea con la volontà dell’
autore. Toscanini si preoccupava di rispettare la pagina scritta e la
volontà dell’ autore, in una ricerca di perfezione geometrica, limpida e
lucida, che non corrispondeva sempre alla necessità dell’ opera d’
arte. La critica più geniale che gli fu mossa, quella di Bruno Barilli,
suo concittadino, è curiosa ma ha del vero. Questi affermava: “Ma io
preferirei anche qualche cosa di meno perfetto, di più malato; in fondo
gli artisti devono anche testimoniare di una sofferenza di un autore”,
mentre in Toscanini c’ è sempre salute e luminosità. Questo elemento
subisce evidentemente delle varianti in occasione delle esecuzioni
effettuate di sera in sera. Il suo merito consiste, invece, nel fatto
che fra l’ altro aveva il dono di essere un accompagnatore meraviglioso,
che rispettava le personalità dei cantanti, malgrado la sua personalità
autocratica».
Si dice che Toscanini abbia riformato la prassi esecutiva
del melodramma accostandolo, con pari dignità al repertorio sinfonico,
ponendo quindi attenzione ai valori musicali espressi dall’ orchestra e
proponendo una concezione unitaria dell’ interpretazione dell’ opera.
«Esattamente. Questa è la grande novità dell’ interpretazione di
Toscanini: che abbia immesso nell’ opera bellezze che si rispettavano
solo nel repertorio sinfonico. Ad esempio, Gaetano Donizetti era un
ottimo strumentatore, aveva alle spalle una cultura di tipo tedesco che
non veniva riconosciuta, come nel caso del Don Pasquale . Al tempo di Toscanini, il valore del melodramma era dato dai cantanti. Toscanini pone attenzione alla sinfonia, alla mise en scène,
ai particolari scenici e agli atteggiamenti. Si occupava di tutto,
proponendo un atteggiamento nuovo in un’epoca che negava al direttore d’
orchestra questa qualità. Semmai, era l’ impresario che se ne
occupava».
Lei ha un legame “affettivo” con Toscanini, con cui ha lavorato suo padre.
«Sì, fu scritturato all’ Augusteo a Roma, per cui assistette al
famoso incidente accaduto nel 1916, quando il maestro dirigeva la marcia
funebre del Crepuscolo degli Dei . Dal pubblico arrivò la voce
di un uomo che gridava “Questo per i morti di Padova”, a proposito del
bombardamento dell’aviazione tedesca a Padova, che aveva provocato molti
morti, un lutto molto sentito. Toscanini reagì lasciando il podio,
spezzando la bacchetta e urlando che “La musica è superiore a tutto”,
lui che era un patriota. Mio padre suonò nell’ orchestra nel 1920- 21 e
in America, ma non mi permise di conoscerlo. Probabilmente scrissi
questo libro per conciliarmi con l’ idea che, quando ero piccolo e
Toscanini soggiornava all’ Isolino di San Giovanni, mio padre mi
impediva di chiamarlo. Le cartoline che mio padre inviava dall’ America
erano talvolta intrise di sconforto per le condizioni spesso precarie e
per il nervosismo del maestro, rivelano il profilo di un uomo
inflessibile nel lavoro, ma che al di fuori delle prove era affettuoso,
premuroso e molto paterno. Mostrava amabilità e parlava con questi
giovani in dialetto, dando loro consigli».
Lei sta pubblicando un libro su Toscanini e Parma. Che legame aveva il maestro con la città?
« Toscanini e Parma viene presentato il 6 febbraio, edito
da Mup (Monte Università Parma) a cura di Guido Conti, in occasione
della mostra dal titolo “L’ardente libertà di un dialogo”, a
sottolineare, per l’appunto, il dialogo, durato nel tempo, tra il
direttore e la città. Il rapporto di Toscanini con Parma è interessante,
perché ha inciso sulla sua professionalità, sulle preferenze e sul modo
di fare la musica: è lì che ha conosciuto, in giovane età, Wagner e
Verdi, due universi artistici allora in contrasto. Conobbe la musica di
Verdi al Teatro Regio, dove si recava a suonare come violoncellista e
dove andava da piccolo a vedere le opere accompagnato dai parenti, dando
già giudizi sui cantanti, in maniera rigida e buffa per un bambino, ma
sempre a ragion veduta. Sempre al Teatro Regio di Parma fu colpito anche
da Wagner, che Toscanini considerava il più grande musicista mai
esistito, al tempo in cui ancora suonava il violoncello nel Lohengrin,
prima ancora, quindi, di stupire il mondo con l’ episodio di Rio de
Janeiro, in Brasile, in cui rivelò le incredibili e straordinarie doti
di direttore d’ orchestra».