RICCARDO MUTI Milano 18 maggio 1996.
Dopo l'inizio tranquillo viene scandita la tempesta come di una nave in mare dai tromboni; dopo la tempesta segue la quiete.
Guillaume Tell, l’ultima opera composta da Gioacchino Rossini (1792 – 1868), su libretto di Etienne de Jouy e Hippolyte Bis, tratto dall’omonima tragedia (Wilhelm Tell) di Friedrich Schiller (1804), il trentasettesimo lavoro operistico rossiniano, fu rappresentata per la prima volta al Théâtre de l’Opéra di Parigi (Salle Le Peletier) il 3 agosto 1829, sotto la direzione del celebre Habeneck e con un trio di solisti prestigiosi (Nourrit, Dabadie e la Cinti-Damoreau).
Il Giullaume Tell in quattro anni raggiunse le 100 rappresentazioni e fu il canto del cigno di Rossini.
Esso è considerato come il primo grand-opéra della storia, con le sue azioni coreografiche, i suoi momenti di danza e le scene grandiose: Rossini lavorò per ben cinque mesi (un tempo sicuramente molto lungo) sulla storia schilleriana dell’eroe svizzero in lotta contro gli Asburgo che opprimevano la sua patria.
La storia si svolge nel XVIII secolo e racconta di Guglielmo Tell che raduna gli Svizzeri contro gli Austriaci per condurli verso la libertà, ma racconta anche dell’amore del patriota Arnold per l’austriaca Mathilde.
L’opera originale è divisa in quattro atti, con una durata complessiva che va oltre le cinque ore: per questo motivo è raramente rappresentata in questa forma (l’ultima volta è stata rappresentata al Rossini Opera Festival di Pesaro nel 1995).
Fu in seguito tradotta in italiano da Calisto Bassi con il titolo di Guglielmo Tell: in questa occasione gli atti furono ridotti a tre e fu rappresentata per la prima volta a Lucca il 17 settembre 1831.
Come nelle altre opere di Rossini, la partitura è piena di arie di bravura, in cui il baritono o il tenore possono mostrare tutto il loro virtuosismo vocale.
L’ouverture, invece, è molto eseguita come pezzo a sé stante.
Con quella del Barbiere di Siviglia, della Semiramide e de La gazza ladra è una delle migliori ouverture del compositore, in cui possiamo trovare momenti di calma e di serenità che contrastano con momenti più violenti o di grande foga impetuosa.
In essa troviamo una sintesi di tutta la storia dell’opera e può essere considerata come una sinfonia in quattro parti ben distinte, che sostituisce il brano in due movimenti che di solito viene usato:
- il dialogo tra i violoncelli
- il temporale
- l’Andante pastorale con la melodia del corno inglese (strumento pastorale per eccellenza)
- l’Allegro vivace finale con la fanfara, che è molto famoso ed è stato usato in Arancia meccanica o in varie pubblicità.
Più volte ci si è interrogati sul motivo di questo silenzio.
Qualunque esso sia, il compositore lasciò la scena in piena gloria con un capolavoro che ancora oggi viene eseguito, soprattutto nella sua versione italiana.