Roberto Benigni interpreta e spiega il verso 103 Canto V dell'Inferno, della Divina Commedia di Dante Alighieri:
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Amor, ch'a nullo amato amar perdona è il verso 103 Canto V dell'Inferno, della Divina Commedia di Dante Alighieri.
Si tratta di uno dei versi più celebri dell'intera opera dantesca e,
pertanto, è uno dei versi più importanti in assoluto nella storia della
letteratura italiana.
Questo si trova nella posizione centrale di una doppia Anafora, costituita da tre versi celeberrimi:
- Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende v. 100
- Amor, ch'a nullo amato amar perdona v. 103
- Amor condusse noi ad una morte: v. 106
Inoltre il verso centrale racchiude tre volte la parola Amore, donando così all'anafora una struttura simmetrica che ha contribuito ad attirare l'attenzione dei lettori danteschi.
La storia
Il canto che lo contiene, il quinto, è in gran parte dedicato alla figura di Francesca da Rimini, amante di Paolo Malatesta e sposata con il fratello di lui, Gianciotto.
La storia dice che il marito di lei scoprirà il tradimento e li
ucciderà entrambi. Per questo motivo le anime dei due amanti sono state
confinate nel secondo girone infernale, quello dei peccatori carnali, ed
inseriti nella schiera dei morti per amore, quella di Didone.
Il verso appartiene al primo intervento di Francesca e narra del
perché lei si innamorò di Paolo. Come altri versi del canto, si presta a
molteplici letture, che Dante aveva assai probabilmente ben presenti:
- Da una parte è enfatizzata la forza travolgente dell'amore, la quale (come già hanno detto in molti) non consente ad una persona che sia davvero amata di non ricambiare (e questo spiega l'attrazione tra Paolo e Francesca);
- L'amore (consacrato in un matrimonio, come quello di Francesca) non perdona e non permette di amare altri;
L'amore è dunque, nell'universo dantesco, qualcosa di complesso che
non si può ridurre al solo "amor cortese" in quanto pone delle
contraddizioni naturali che portano ad esiti anche tragici, tanto che è
lei a dire Amor condusse noi ad una morte.
A Francesca il sacramento del matrimonio non permetterebbe di amare
altri se non suo marito. Lo stesso Amore però non le permette di non
riamare e non ricambiare il sincero sentimento di Paolo (cosa che
porterà entrambi ad "una morte" ed alla dannazione eterna).
Proprio questa contraddizione tra precetto religioso e forza
travolgente dell'amore, espressa in forma così alta e rarefatta, spiega
la pietà di Dante per i due "peccatori".
Il poeta non si comporta da moralista, semplicemente descrive la
tragicità del conflitto tra morale e passione, che sono due forze
invincibili.
E così sia pure colloca Paolo e Francesca tra i dannati, non può fare
a meno di provare un senso di profonda ed umana pietà e di compiangerne
la sorte.
Senso letterale
Amor, ch'a nullo amato amar perdona
- Amor: è il soggetto del verso e costituisce una cosiddetta figura Etimologica, o Annominazione, poiché vi sono tre parole nel verso che hanno la stessa origine etimologica: Amor, amato, amar.
- ch: che, ovvero il quale si riferisce ad Amor: il quale amor.
- a nullo: nullo deriva dal latino nullus, che significa nessuno. Qui nasce una doppia interpretazione poiché "a nullo" in latino significa "da nessuno", mentre se si considera solo "nullo" preso dal latino la traduzione diventa "a nessuno". Quest'ultima è l'interpretazione più frequente.
- Amato: si riferisce a "nullo", per cui nel senso comune "a nullo amato" significa "a nessuno che è amato".
- Amar perdona: l'amore perdona l'amare, ma poiché si riferisce a nessuno (nullo) in realtà significa "a nessuno perdona l'amare".
Riassumendo l'esegesi corrente è: "L'amore, che a nessuno perdona, se
amato, di riamare" "L'Amore, che obbliga chi è amato ad amare a sua
volta".